Il silenzio, ho scelto il
silenzio in questa settimana dove in tanti, troppi forse, hanno parlato. Ognuno
ha voluto dire la sua, qualcuno usando i social come mezzo per poter
condividere il dolore, altri invece come sfogo di frustrazioni. Ho letto tanti post
di persone sinceramente tristi e angosciate, poi ho letto anche le solite
sterili polemiche; chi se la prende con Dio, chi con i politici, chi inveisce
contro gli immigrati e c’è chi addirittura con la nota amatriciana di Amatrice,
insomma, la solita kermesse immancabile di persone che non sanno stare in
silenzio. Persone che non hanno rispetto per il dolore altrui, per la terribile
tragedia, per i morti, per le loro famiglie distrutte.
Perché pensiamo che ai
terremotati, a chi ha perso una persona cara o la casa o addirittura entrambe le
cose, possa veramente interessare qualcosa di quello che scriviamo sui social?
No! E allora facciamo silenzio, stringiamoci forte gli uni agli altri,
idealmente uniamo tutta l’Italia e facciamogli sentire che gli siamo vicini, che
non sono soli, che il loro dolore possono condividerlo con noi, ma facciamolo senza far rumore.
Passato questo momento di
tragedia, poi, dovremmo interrogarci se come cittadini, come amministratori
abbiamo fatto abbastanza per evitare tutto questo, chiediamoci se nei momenti
di “calma”, quando la terra ci da tregua, facciamo il possibile perché non
succeda più. Chiediamoci se passata questa ondata di emozioni forti, tornando
alla nostra vita di tutti i giorni, penseremo a quei 290 morti, a tutti gli
sfollati, a chi vive ancora in zone non sicure.
Già, perché è questo il
punto, sappiamo benissimo che il nostro Bel Paese purtroppo è
uno delle località a maggiore rischio
sismico del Mediterraneo,
per la frequenza dei terremoti che hanno storicamente interessato il suo
territorio e per l'intensità che alcuni di essi hanno raggiunto, determinando
un impatto sociale ed economico rilevante.
La sismicità
della Penisola italiana è legata alla sua particolare posizione geografica,
perché è situata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica
ed è sottoposta a forti spinte compressive, che causano l'accavallamento dei
blocchi di roccia. La pericolosità è inferiore a paesi come California o
Giappone, ma la vulnerabilità è maggiore per la fragilità del patrimonio
edilizio.
Ecco,
segnatevelo bene: FRAGILITA’ DEL PETRIMONIO EDILIZIO, questo significa che
tantissimi degli edifici in cui abitiamo non sono sicuri.
E
consideriamo che circa 24 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio
sismico.
I terremoti
che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni
in circa 135 miliardi di euro, che sono stati impiegati per il ripristino e la
ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non
traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale.
Abbiamo perso circa 4.720 vite.
Una seria
prevenzione sarebbe costata meno!
Prevedere un
terremoto è impossibile, dicono i geologi, ma prevenire è possibilissimo!
In
un'intervista Andrea Tertulliani, sismologo e primo
ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV),
risponde così:
— Il terremoto è avvenuto in una zona
altamente sismica. La cosa che ci si chiede sempre dopo queste tragedie: si
poteva prevenire? E in generale è possibile prevedere un terremoto?
— Un terremoto non si può prevedere, sapere
prima quello che succederà non è possibile in questo campo. Si può invece
prevenire costruendo adeguatamente in modo antisismico. L'unica prevenzione è
quella di costruire edifici che resistano alle scosse di terremoto.
— L'Italia tutta ha più zone a rischio
sismico. Si fa abbastanza in prevenzione a suo avviso?
— L'Italia è in ritardo in questo campo, ci
sono molte aree nel Paese che pur essendo sismiche, hanno costruzioni antiche
dovute al patrimonio storico, è tipico per il nostro Paese. I terremoti spesso
avvengono nelle zone montuose, dove vi sono piccoli centri. Sono luoghi
difficili da adeguare.
— Per quanto
riguarda gli edifici vecchi, si può fare qualcosa, renderli antisismici?
— Certo! Si può intervenire per rendere più
resistenti le costruzioni vecchie. Questo ha un costo che evidentemente non
tutti riescono a sopportare. Con pochi accorgimenti anche una casa di pietra
potrebbe essere messa in condizioni adeguate per non farla almeno crollare
sugli abitanti. In Italia su questo piano si fa ancora molto poco.
— Quali sono le misure da prendere in
primis?
— Innanzitutto bisogna far osservare le norme
antisismiche, che in Italia ci sono. Tutto il nuovo deve essere costruito in
una determinata maniera, purtroppo non si può obbligare il vecchio ad essere
adeguato. Andrebbe fatta un'importante opera di educazione della popolazione,
in maniera che chiunque fosse consapevole della propria casa: se non
adeguatamente rinforzata potrebbe cadere, perché si trova in una zona sismica.
— Questo è un tema che dovrebbe essere
all'ordine del giorno sempre, non basta parlarne solo dopo queste stragi.
Possiamo dire che siamo di fronte ad un problema culturale più ampio?
— Esattamente,
in Italia purtroppo siamo abituati ad affrontare le emergenze quando avvengono
e a non essere pronti a prevenire con delle politiche di ampio respiro, che
sicuramente gioverebbero ad un Paese sismico come il nostro.
Andrebbe fatta un'importante opera di educazione della popolazione, in
maniera che chiunque fosse consapevole della propria casa: se non adeguatamente
rinforzata potrebbe cadere, perché si trova in una zona sismica.
Il nocciolo
della questione è questo: la ristrutturazione per i privati ha costi alti, il
governo dovrebbe offrire incentivi per incoraggiare un piano di sicurezza
nazionale. Ma con uno dei debiti pubblici più alti in Europa, l’Italia può
difficilmente permettersi generosi finanziamenti al settore privato o un
massiccio piano di investimenti pubblici.
Ma qualcosa deve cambiare, dobbiamo cominciare a pretenderlo!
Vi lascio un’ultima brutale immagine, la scuola di
Amatrice… se questa ennesima tragedia si fosse verificata il 24 settembre alle
ore 9,00, anziché il 24 agosto alle 3,36, noi avremmo perso diverse generazioni
di ragazzi. Pensiamoci…
In collaborazione con:
www.ingservoli.it